Cento anni di Franco Basaglia e di un nuovo modello di cura
Dalla nascita del rivoluzionario della psichiatria al Gruppo Appartamento Sant’Isaia 96 di Cadiai
L’11 marzo 1924 nasceva a Venezia Franco Basaglia, lo psichiatra che rivoluzionò il mondo della salute mentale. Oggi, a cento anni dalla sua nascita, lo ricordiamo principalmente per la legge 180 del 1978 che porta il suo nome, la cosiddetta “Legge Basaglia”, che sancì la soppressione dei manicomi. Franco Basaglia in verità fu molto di più di questo. Nel corso della sua vita professionale divenne tra i più noti psichiatri a livello mondiale e le sue attività, insieme a quelle della moglie Franca Ongaro, favorirono non solo un radicale cambiamento di approccio di cura alle malattie mentali, ma anche un mutamento di come le persone le consideravano e ne parlavano.
La situazione prima Legge Basaglia
I manicomi italiani, quando Basaglia iniziò a lavorare in quello di Gorizia, erano istituti decadenti dove più che pazienti si trovavo persone costrette contro la loro volontà a subire trattamenti medici invasivi come l’elettroshock o terapie farmacologiche continue. Alle persone internate non erano riconosciuti diritti, né civili né politici: non potevano votare, sposarsi, fare testamento. L’approccio di Basaglia fu quello di aprire al mondo esterno i manicomi, organizzando gite, attività, assemblee aperte in cui pazienti e psichiatri potessero confrontarsi. A questa piccola rivoluzione interna, Basaglia seppe affiancare un grande lavoro di comunicazione e documentazione rivolto all’esterno, per cambiare la percezione comune degli ospedali psichiatrici: oltre alla pubblicazione di numerosi libri, si avvalse di due grandi fotografi italiani, Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati, per mostrare al mondo le condizioni dei manicomi italiani. L’approccio di Basaglia, come sappiamo, diede i suoi frutti due anni prima che lo psichiatra morisse nel 1980, quando la legge 180 stabilì che il trattamento sanitario delle malattie mentali rientrasse nel diritto alla salute di ogni cittadina e cittadino e che i manicomi non potessero più accogliere pazienti.
Il Gruppo Appartamento Sant’Isaia 96
Agli enti locali fu demandata la gestione delle oltre 89mila persone ospitate nei 98 manicomi rimasti. A Bologna si trattò di un centinaio di persone che vivevano nel manicomio tra via Sant’Isaia e viale Carlo Pepoli, per cui fu ordinata una graduale dismissione. Nel 1985 una pedagogista dell’ospedale psichiatrico pensò di coinvolgere una cooperativa nata undici anni prima, che aveva dato prova di serietà, competenza e capacità di innovare nell’ambito dei servizi di welfare: Cadiai. L’idea era collocare alcuni pazienti – Anna, Liviana, Guido, Roberto e Luciano – in un appartamento poco distante, in via Sant’Isaia, dove sarebbero stati seguiti dal personale di Cadiai. Nasceva così il Gruppo Appartamento di via Sant’Isaia 96, un luogo dove persone che avevano vissuto in alcuni casi per oltre 30 anni in manicomio trovarono una nuova casa, con operatrici e operatori Cadiai a seguirli nelle attività quotidiane.
Comunicare il cambiamento
Nel 1990, raccogliendo l’esempio di Basaglia che usò la fotografia per raccontare il suo lavoro, Cadiai, in collaborazione con l’Unità Sanitaria Locale 27, organizzò una mostra fotografica dal titolo “S.Isaia oltre il ‘90 – Presentazione di una esperienza di deistituzionalizzazione” che documentava, grazie al sapiente lavoro del fotografo Orlando Strati, la nascita di questo servizio e “l’uscita” dal manicomio. Erano gli anni delle “razionalizzazioni” economiche nella sanità e nell’erogazione dei servizi e il Gruppo Appartamento e il suo modello andavano difesi.
Una casa che non chiude mai
Oggi, trascorsi oltre 35 anni dall’apertura del servizio, il Gruppo Appartamento di via Sant’Isaia 96, ha traslocato, prima in via Portazza e poi in via Ferrara, ma continua a chiamarsi Sant’Isaia. Non ospita più ex internate e internati in manicomio, ma semplicemente giovani con lievi disabilità, che hanno l’opportunità di uscire dalle loro famiglie di origine e di vivere una vita autonoma con l’aiuto e il sostegno da parte di operatrici e operatori. Sono cambiate le persone servite e il luogo del servizio ma l’obiettivo è rimasto lo stesso.