Quando Cadiai si prese cura dei bambini libici
50 anni di storie dai verbali di Cadiai
Di Tito Menzani
La storia che raccontiamo inizia a metà degli anni Settanta. Cadiai era appena nata e aveva una base sociale in prevalenza composta da donne che si occupavano di assistenza a persone malate o anziane. Lavoravano sia presso il domicilio degli utenti, che in strutture ospedaliere o assistenziali. Fra queste realtà, c’erano Villa Torri e Villa Salus, dove erano ricoverati dei ragazzi libici. Si trattava di bambini e bambine nati con una displasia all’anca, ovvero un’anomalia dello sviluppo che, se non trattata in modo opportuno, avrebbe portato la testa del femore a spostarsi, con gravi ripercussioni sulla deambulazione e sulla qualità della vita.
Nell’ambito delle relazioni diplomatiche ed economiche tra Italia e Libia, c’era un accordo per cui numerosi giovani affetti da questa patologia e bisognosi di assistenza medico-sanitaria sarebbero stati operati all’Istituto ortopedico Rizzoli e poi avrebbero trascorso il periodo di convalescenza e di rieducazione a Villa Torri o a Villa Salus.
L’ambasciata libica avrebbe coperto i costi accessori, tra i quali, appunto, l’assistenza che sarebbe stata fornita dal personale di Cadiai. La presidente di allora, Vittoria Lotti, si interfacciò con un funzionario che nei verbali del cda è sempre indicato come «il dottor Haddad». Nel 1976, gli propose che ogni addetta di Cadiai seguisse due bambini ricoverati. Dopo una trattativa, il compenso fu fissato in 2.100 lire all’ora, ovvero 12 euro attuali.
Le socie di Cadiai iniziarono così a prendersi cura di questi bambini libici nel periodo di convalescenza e rieducazione. Le esigenze erano varie: dall’igiene personale all’assistenza per andare in bagno, fino al conforto; infatti, si trattava di giovanissimi che erano lontano da casa e dai genitori e che quasi sempre non erano in grado di ben comprendere l’italiano. Dopo poco tempo, l’ambasciata libica decise di ridurre i costi. Fu revocata la convenzione con Villa Salus e i giovani degenti furono concentrati a Villa Torri. Ma soprattutto, il dottor Haddad diminuì arbitrariamente le ore di assistenza pattuite con Cadiai, ricorrendo a badanti in nero. Si ebbero numerose tensioni e più volte la cooperativa minacciò la sospensione del servizio, arrivando effettivamente a interromperlo momentaneamente nell’ottobre del 1976.
Dopo ulteriori polemiche, si ebbe una ripresa dell’attività a singhiozzo. I rapporti tornarono nuovamente sereni due anni e mezzo dopo, ovvero nel marzo del 1979. Infatti, un controllo dell’Ispettorato del lavoro aveva messo l’ambasciata libica in difficoltà, in quanto era stata accertata una evasione contributiva. Il dottor Haddad volle cautelarsi, rinunciando al precedente sottobosco di collaborazioni informali e siglando una nuova convenzione con Cadiai.
Nell’ambito del suddetto contratto fra la cooperativa e l’ambasciata libica fu ulteriormente qualificata l’assistenza ai bambini, con un preciso disciplinare. E la retribuzione oraria fu adeguata in base all’inflazione. Di lì a poco, fu anche formulata da Cadiai una bella proposta didattica a vantaggio dei bambini libici ospitati a Villa Torri. Il progetto, però, stentò a trovare una piena applicazione concreta, per via delle ristrettezze economiche dell’ambasciata.
Nella primavera del 1980, si ebbero dei ritardi nei pagamenti delle fatture. Si incrinava così la fiducia riposta nelle istituzioni libiche. I pagamenti cessarono del tutto e il 1 luglio 1980 si interruppe definitivamente questa collaborazione. Gli arretrati sarebbero stati incassati molto tempo dopo e solamente grazie alla perseveranza della giovane responsabile amministrativa di Cadiai, Fatma Pizzirani, che si recò di persona all’ambasciata libica a Roma a pretendere e a ritirare in contanti le spettanze.